Sempre più persone sono vittime di questo terribile disturbo intestinale. Un male a dir poco fastidioso che rende talvolta complicato anche lo svolgere delle comuni attività sul luogo di lavoro. Essendo moltissimi coloro i quali soffrono di colite spastica ed essendo questi soggetti soliti acquistare svariate medicine per la cura, c’è da chiedersi se lo Stato Italiano preveda una qualche forma di risarcimento economico per garantire un sostegno concreto a questi soggetti.
La questione è di scottante attualità perchè, da un lavo vi è il sogno di un posto fisso ed una generale difficoltà nel conservare un lavoro continuativo, dall’altro vi è una malessere che diventa sempre più frequente nella società occidentale, in grado di colpire quasi 2 persone ogni 10 unità. Da un lato la poca attenzione verso i cibi anti colite, aggravato dalla poca considerazione che diamo al nostro gruppo sanguigno, quando mangiamo, dall’altro la cultura del cibo spazzatura, alimentata dal dominio gastroeconomico dei fast food, sta di fatto che il numero dei soggetti colitici in Italia aumenta ogni anno.
Il lavoro nobilita lo stomaco?
Chissà che cosa ne penserebbe Charles Darwin della legislazione italiana in merito al rimborso sui farmaci da banco acquistati per curare la colite spastica. La chiarezza su alcune leggi non è mai abbastanza e lo è ancora più vero se si analizza la normativa che dovrebbe spiegare i requisiti per ottenere la qualifica di “invalidità da sindrome del colon irritabile”. Il problema nasce dalla stessa difficoltà nel desumere con certezza quale grado di irritazione dovrebbe raggiungere un apparato gastrointestinale per definire la presenza di uno stato colitico. L’intensità dei dolori da colite infatti variano da individuo ad altro. A parità di spasmi addominali potrebbe esserci un soggetto non capace di tollerare quei dolori a lungo ed un altro che continua a svolgere le sue mansioni sul lavoro come se nulla fosse, continuando a timbrare il cartellino regolarmente. La tipologia del contratto di lavoro porta ad esempio chi è meno tollerato, come gli operai e chi lavora nel terziario in stato di precarietà o ancora, tutti i possessori di partita iva, a farsi meno problemi e quindi a non chiedere quasi mai dei giorni di “malattia”. Chi non percepisce la propria professione come stabile sopporterà necessariamente meglio ogni trauma o problema all’intestino. Rinunciare ad un giorno di lavoro equivarrebbe ad uno stipendio più risicato, perchè difficilmente potrebbe godere di contributi statali. Anche i diritti sindacali di un soggetto con lavoro temporaneo sono molti meno di quelli di chi lavora full time a tempo indeterminato.
Per questa ragione la categoria di persone più interessate a quello che rotea attorno alla legge famosa 104 sull’invalidità civile, sono i soggetti che hanno un luogo di lavoro fisso. Parliamo di persone che acquistano regolarmente farmaci anti colite e antispastici come buscopan o normix, spendendo a fine mese un bel gruzzoletto di euro.
Va precisato però che se nel caso di malattia di Crohn sia molto più facile ottenerla, nel caso della sindrome del colon irritabile, non trattandosi al 100% di una malattia, è molto più complicato ottenere un indennizzo economico a causa del malessere invalidante. In ogni caso sarà la ASL locale ad analizzare ogni domanda che verrà inoltrata e non è detto che si riesca a dimostrare come una forma di colite nervosa possa impedire di compiere delle operazioni abituali per un lavoratore che, nel caso di un malato intestale in forma acuta, diventano estremamente complicate. Il buon cuore di chi giudicherà la vostra condizione di salute dovrà però scontrarsi anche con tutti quei “furbetti d’Italia” che fanno carte false per ottenere un contributo economico da invalidità, pur vantando di una forma fisica. I telegiornali italiani sono pieni di notizie di falsi invalidi pertanto, con gli anni, i controlli per accertare l’effettivo stato fisico di un lavoratore italiano, sono divenuti più complicati da ingannare. Un’ottima notizia se si pensa a tutti coloro che da un lato chiedono maggiori diritti sanitari sul lavoro e dall’altro chiudono un occhio di fronte a comportamenti considerati più di folklore che realmente illeciti e da ripudiare.