La Dichiarazione di carattere non finanziario obbligatoria dal 2018



Dichiarazione di carattere non finanziario
Una importante novità coinvolge a partire da questo 2018 moltissime imprese ed aziende italiane, precisamente identificate nel Decreto Legislativo N° 254 del 30 dicembre 2016.
Le realtà imprenditoriali oggetto di tale attenzione, a seguito di una Direttiva Europea che risale al 2014, sono quelle con più di 500 dipendenti, quotate in Borsa e catalogate come EIPR, ossia Enti di Interesse Pubblico Rilevanti: tali aziende, se in passato fornivano informazioni e rendicontazioni circa la propria sostenibilità tramite il Bilancio Sociale, adesso saranno costrette a rivedere qualcosa.

Cosa cambia rispetto al Bilancio Sociale

Tale Bilancio infatti non era né obbligatorio né certificato o controllato, e contava poco o nulla. La Dichiarazione di carattere non finanziario oggetto del Decreto è invece un documento ufficiale, che il Consiglio di Amministrazione deve sottoscrivere e che deve essere certificato da un ente revisore esterno che assicuri terzietà e imparzialità.

Importante è sottolineare che sono pesanti le sanzioni previste per chi ometterà dati o fornirà informazioni non corrette sui temi inclusi, che sono del tutto trasversali e riguardano l’impatto sul territorio circostante e sull’ambiente, l’impegno verso il rispetto dei diritti umani e civili, la lotta alla corruzione, le politiche sociali di welfare aziendale messe in atto nei confronti dei dipendenti.
Molti di questi dati potranno essere raccolti solo da società di consulenza aziendale esterne, le uniche in grado di rilasciare certificati validi ed accreditati su temi quali il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità, la sicurezza sul lavoro, e di eseguire test di laboratorio come i controlli non distruttivi.

A chi spetta redigere questa dichiarazione?

Sarà compito di una nuova figura professionale ad hoc, il CSR (Corporate Social Responsability manager) raccogliere ed armonizzare tutti questi dati facendoli confluire, insieme a quanto rilevato tra le mura aziendali tra i colleghi e i dipendenti, in un unico corposo documento vincolante, per redigere il quale è indispensabile una buona dose di versatilità e padronanza di temi eterogenei.

Va ampliato infatti il ventaglio delle proprie conoscenze, che devono spaziare dalle politiche ambientali al diritto del lavoro fino alla sociologia e alla medicina del lavoro. Qualsiasi tipo di impatto deve trovare una sua articolata e motivata spiegazione, ed essere compreso tra range di sostenibilità, documentando cosa si è fatto concretamente e senza alcuna possibilità di alterare o edulcorare i dati raccolti.

Le aziende stanno già da tempo chiedendo al mercato del lavoro figure professionali inedite di questo tipo, che hanno trovato modo di formarsi in appositi master e corsi di specializzazione.
Del resto la ricaduta di questa novità coinvolge tutta la filiera, inclusi i fornitori o i subappaltatori. Va però detto che il mercato ha da tempo recepito la necessità di trasparenza e sostenibilità, per cui tutti , dai consumatori fino ai fornitori ma anche gli enti pubblici saranno più propensi a relazionarsi con aziende che si presentano credibilmente virtuose, senza dimenticare il ruolo cruciale degli investitori, da sempre i più attenti alla direzione da imprimere ai propri capitali.